Problema:

Oggigiorno i cibi imballati, preparati e pronti per l’uso sono sempre più comuni. Ma i cibi, si sa, si deteriorano rapidamente. Le derrate alimentari possono essere attaccate da microrganismi quali i batteri o alcuni funghi, e marciscono rapidamente. Gli alimenti, a contatto dell’aria, reagiscono con l’ossigeno, cambiano colore ed assumono un sapore rancido.

Soluzione

Per proteggere gli alimenti durante la loro conservazione e distribuzione è dunque indispensabile un imballaggio costituito da film e strati protettivi. Normalmente, gli imballaggi alimentari sono a base di polimeri di sintesi spesso monouso, talvolta riciclabili.

Stato dell’arte
Attualmente, nel settore degli imballaggi vengono impiegati soprattutto polimeri ottenuti da derivati del petrolio. Attraverso processi petrolchimici di craking si rompono le lunghe catene degli idrocarburi e si ottengono molecole a basso peso molecolare necessarie all’industria della plastica.

Numerosi sono i vantaggi che gli imballaggi di plastica offrono: sono resistenti, leggeri, sono buoni isolanti termici ed elettrici, si deteriorano molto lentamente, sono resistenti ad agenti chimici, sia acidi che basici e soprattutto ,rispetto ad altri materiali come vetro o metallo, sono decisamente economici da produrre.

Una bottiglia di PET costa all’industria assai meno di una bottiglia di vetro o una lattina di alluminio. E’ comprensibile quindi che la produzione di imballaggi plastici assorba circa il 45% delle materie plastiche, che a loro volta assorbono circa il 4 % di tutto il petrolio estratto.

Ogni anno circa 270 milioni di tonnellate di greggio pari al 4% della produzione mondiale viene trasformata in plastica.

produzione di plastica nel mondo

Ma nella prospettiva di una crescita mondiale dei consumi a fronte di un’origine da fonti non rinnovabili, l’industria della plastica e i ricercatori guardano con attenzione a nuovi sistemi per produrre polimeri di origine non petrolchimica, sia biodegradabili che non biodegradabili.

I polimeri che derivano da fonti naturali possono essere raggruppati in piu’ gruppi.

Polimeri estratti come tali dalle biomasse. Appartengono a questa famiglia amidi, cellulose, pectine, gomme di guar, alginati, carragenani, xantano di cui l’industria alimentare ne utilizza piu’ di 70.000 tonnellate/anno come addensanti, stabilizzanti e gelificanti. In natura, questi biopolimeri hanno svariate funzioni: tra i polisaccaridi di origine vegetale terrestre possiamo ricordare la cellulosa, l’amido, le pectine e la gomma arabica, (quest’ultima, ad esempio, proveniente dall’essudato di più di 900 specie di Acacia). Di origine marina sono, invece, i carragenani e l’agar, prodotti dalle alghe rosse (Rodoficee), mentre gli alginati sono prodotti dalle alghe brune (Feoficee). Polisaccaridi di origine microbica sono il gellano, il destrano, lo xantano e lo scleroglucano (che trova interessanti impieghi nel settore farmaceutico), mentre sono di origine animale i notissimi chitosano e glicogeno.

Polimeri sintetici quali l’acido polittico(PLA), ottenuti dall’acido lattico ricavato per fermentazione dall’amido di mais.

Polimeri prodotti da microrganismi come i poliidrossialcanoati (PHA o derivati).

Il consumo di polimeri biodegradabili in Europa, seppur in crescita, è però limitato e si attesta intorno alle 30- 35 mila tonnellate annue.

Osservando lo scenario europeo si puo’ notare come il mercato dei biopolimeri sembra essere ben sviluppato nel Regno Unito, dove grosse catene di super mercati utilizzano imballaggi biodegradabili soprattutto per prodotti biologici, in Scandinavia e anche nel centro Europa (Olanda e Germania).

Recentemente, in Italia è stata emanata una direttiva sugli imballaggi per shoppers monouso che ha proibito l’impiego di plastiche non biodegradabili e compostabili per questa categoria merceologica, mentre già da tempo il rifiuto organico domestico deve essere conferito in sacchetti biodegradabili e compostabili di carta o di plastica.

Questo da una parte ha favorito l’incremento di consumo di “bioplastiche”, dall’altro ha incentivato l’impiego di borse riutilizzabili.

In Italia si trovano sul mercato due tipi di plastiche biodegradabili, ottenute a partire dall’amido di mais, di patate o di grano.

Uno è il Mater-Bi, costituito da amido allo stato naturale, opportunamente trattato e mischiato (in proporzione del 50-60%) con altri polimeri e additivi sintetici, derivati essenzialmente dal petrolio, ma con legami chimici che ne rendono le molecole biodegradabili.

L’altro sono dei polimeri dell’acido lattico (Pla), una molecola che si ottiene dalla fermentazione degli amidi. Con questi materiali vengono prodotte sacchetti, piatti e bicchieri usa-e-getta, pacchi per l’imballaggio alimentare, imballaggi per surgelati (data l’ottima resistenza e durata alle basse temperature).

Il Mater-Bi ha una produzione di circa 60.000 tonnellate l’anno. Il Pla è prodotto in quantità paragonabili.

Il Mater Bi è un materiale completamente biodegradabile che deriva da amido di mais, adatto ad essere utilizzato con i rifiuti organici per produrre compost, ed è certificato dal marchio “OK compost” che garantisce la conformità alle norme europee per il packaging biodegradabile emanate nel 2001 (la direttiva EN 13432).

Lo scenario italiano mette in evidenza il dato relativo all’utilizzo di questi polimeri biodegradabili (Mater-Bi e PLA) in alcune catene di supermercati.

Alcuni esempi di prodotti realizzati con questo materiale sono gli shoppers, le vaschette termoformate per alimenti quali frutta, verdura, carne.

Come è ovvio alcune plastiche biodegradabili potrebbero presentare delle incompatibilità ovvero non essere adatte all’imballaggio di alcuni alimenti, specie se utilizzate a diretto contatto con essi, ma è prevedibile il loro utilizzo piu’ in generale nel confezionamento (come involucro esterno) di prodotti alimentari.

Si sottolineano inoltre alcune applicazioni, ancora in fase sperimentale, di biopolimeri per la conservazione di prodotti ad alto valore aggiunto, come nel caso della mozzarella di bufala conservata in gel di polisaccaridi (M. Malinconico e M.G.Volpe, Brevetto n.° RM 2004 A 000637).

L’alternativa al sacchetto di plastica sembra dunque disponibile.

Il problema che maggiormente ostacola la sua diffusione è per ora il prezzo, decisamente maggiore rispetto ai sacchetti in polietilene. Ma se nel prezzo di questi ultimi venisse conteggiato anche il loro effettivo costo di smaltimento la differenza non sarebbe così significativa.

Il futuro del mercato dei polimeri biodegradabili dipenderà sia dalle politiche di sviluppo che verranno attuate sia dall’importanza che i consumatori daranno ai prodotti ecocompatibili.

Negli ultimi anni l’interesse della Grande Distribuzione Organizzata verso questo tipo di prodotti e’ diventato sempre piu’ forte e proprio in relazione a quest’ultima affermazione sembra auspicabile un aumento dei quantitativi in gioco.

Fonte: Cnr

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